SPESOMETRO 2017 (ovvero il “De Profundis” della semplificazione) e COMUNICAZIONI LIPE (ovvero dalla “Compliance” al “Bullying”)
Quanto accaduto in questi giorni non è altro che l’ennesima presa d’atto di un ormai cronico malfunzionamento del sistema fiscale italiano che, a parole, vuole essere “moderno” ed informatizzato; nei fatti però non dispone di mezzi e strumenti adeguati per far fronte a questa spinta innovativa.
Il che è abbastanza assurdo, considerando che la società deputata a gestire tutto il processo (la Sogei SpA) è un colosso che fattura (dati bilancio 2016) oltre mezzo miliardo l’anno con un utile netto di quasi 30 milioni di Euro.
Ancora più incomprensibile (salvo a pensar male) è il fatto che una società di tali dimensioni non riesca a produrre software, non diciamo superiori, ma almeno al livello di quelli messi a disposizione da una qualsiasi software house privata operante nel settore dei gestionali per commercialisti. Così come è difficile da comprendere come mai le procedure informatiche, quali il Sistema di Interscambio Flussi Dati (SdI), non vengano adeguatamente e preventivamente testate prima di essere rese utilizzabili (mai sentito parlare di beta testing?).
Consentiteci un paragone (anzi due): ad oggi, i software (all’apparenza gratuiti ma in realtà pagati dai contribuenti) messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (e quindi dalla Sogei) stanno a quelli professionali utilizzati (e pagati profumatamente) dai commercialisti, come un vecchio cellulare sta ad un moderno smartphone; utilizzare un software gestionale professionale sulla piattaforma SdI messa a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (e quindi dalla Sogei) è come dotarsi di una Ferrari per percorrere una mulattiera di montagna.
C’è da dire, in realtà, che qualche casa software è riuscita in poco tempo a progettare una “Ferrari SUV”, ma molti Commercialisti si sono dovuti confrontare con file da trasmettere senza disporre dei controlli telematici prima dell’invio, salvo accorgersi di eventuali errori solo dopo aver scaricato le ricevute; errori che per essere compresi necessitano di essere tradotti studiando numeri e codici riportati in un’apposita lista fornita dagli sviluppatori di Entratel; istruzioni contenute in manuali di oltre cento pagine; possibilità di reinvio di file corretti solo con ulteriori e nuove procedure di generazione che sostituiscono quelli precedenti, previa una corretta eliminazione; sito bloccato a più riprese; ricevute inintelligibili; file scartati senza motivo…
Ormai è chiaro che tutto il peso di questa inadeguatezza è sopportato dal Commercialista che si trova a pagarne le conseguenze in termini di ore di lavoro (difficilmente remunerabili) sottratte alla gestione dello Studio e dei suoi Clienti, rischiando in proprio per i ritardi e i termini non eventualmente rispettati. Il Commercialista è infatti colui che professionalmente dispone gli adempimenti per i propri clienti al fine della regolare tenuta della posizione con il Fisco, adempimenti che dovrebbero essere una naturale e semplice conclusione di un’elaborazione di dati effettuata durante un determinato periodo. In poche parole, semplificazione e funzionale condivisione potrebbero far diventare persino piacevole il rapporto tra il professionista ed il Fisco, cosa che invece oggi si dimostra una tortura fisica e psicologica.
Inizia inoltre ad evidenziarsi il motivo per cui si vuole mantenere complicato un sistema che deve portare il professionista a commettere l’errore: la sanzione, seppur minima, applicata su tutti gli errori che inevitabilmente si possono commettere, determina per il Fisco una sicura entrata (di fatto una manovrina finanziaria per un Governo che sotto elezioni non vuole aumentare le tasse!).
Come Commercialisti abbiamo più di un timore nei confronti di questa spinta alla massima digitalizzazione che, nelle intenzioni del MEF e dell’Agenzia delle Entrate, dovrebbe sfociare nella fatturazione elettronica “Business To Business” generalizzata.
Ed ogni giorno che passa tali timori sono sempre più fondati, considerando che dobbiamo giocoforza confrontarci con la Sogei che impone software inutilizzabili e procedure farraginose e talvolta illogiche; considerando che dobbiamo relazionarci con clienti che ancora ignorano l’esistenza della Posta Elettronica Certificata e che ancora redigono le loro fatture con timbro e penna biro; considerando che questa digitalizzazione spinta (senza prevedere alternative “analogiche”) porta all’impossibilità di lavorare senza una connessione internet affidabile, veloce e sicura.
Duole constatare come in Italia abbiamo un Fisco che, invece di essere funzionale alla realtà economica, vuole far sì che ogni soggetto economico sia funzionale alle sue esigenze, anche costringendolo a porre in essere comportamenti antieconomici e con impatti negativi sotto il profilo organizzativo. Il tutto nel nome di una fantomatica semplificazione, che poi in realtà sarebbe più corretto definirla omologazione coattiva, perché una procedura, se veramente più semplice, verrà adottata per libera scelta (in quanto più efficace, più efficiente o solamente più conveniente), e non perché imposta quale unica modalità operativa accettata da un soggetto peraltro terzo.
Visto quanto accaduto con lo spesometro, che a detta dell’ex direttrice dell’AdE sarebbe consistito in un semplice click, l’introduzione della fatturazione elettronica tra privati sarebbe attualmente una scelta scellerata. Per non parlare poi dell’idea di fornire alle aziende dichiarazioni precompilate… pura follia! Se semplificazione ci deve essere, questa dovrà essere dal punto di vista legislativo. Gli aspetti tecnici (e professionali) della materia fiscale (contabilità, bilanci, dichiarazioni fiscali, liquidazione delle imposte…) lasciamoli ai Commercialisti che, sicuramente meglio di funzionari pubblici e di tecnici informatici, riescono a comprendere, nel rispetto dell’interesse pubblico, le esigenze di chi produce e paga le tasse.
Passando alla questione delle Comunicazioni delle Liquidazioni IVA Periodiche, in questi giorni è venuto alla luce il vero motivo per il quale tale adempimento è stato concepito: fare cassa, e farlo il prima possibile.
Solo così si giustifica la fretta con cui si è proceduto a trasmettere gli avvisi bonari relativi al mancato versamento dell’IVA dovuta a seguito delle liquidazioni del primo trimestre.
Ciò da un lato è comprensibile, considerando il forte rischio di dover dar corso all’aumento delle aliquote IVA a partire dal 1° gennaio 2018 (11,5% e 25%, il che in periodo elettorale non sarebbe un bel biglietto da visita).
Meno comprensibile è l’incoerenza per un Fisco che grida alla “compliance”, per poi silenziosamente porre in essere atti di vero e proprio bullying (ovvero bullismo), laddove, legittimamente sebbene inopportunamente, limita al contribuente la possibilità di accedere all’istituto del ravvedimento operoso. E ciò dopo che, con la legge di bilancio 2015, la possibilità di accedere a tale istituto è stata ampliata consentendola perfino successivamente alla notifica di un pvc.
Ma a nostro parere ancora più grave è il fatto che mentre fino al 2016 l’omesso versamento dell’IVA dichiarata nel corso di un anno d’imposta veniva gestito attraverso un unico avviso bonario da pagarsi, anche a rate, scontando una sanzione del 10%, ora ci si trova davanti al rischio di vedersi notificato un avviso bonario per ogni trimestre in cui si sia omesso il versamento dell’IVA. Ciò potrà comportare, per le aziende (e per i loro Commercialisti), anche un quadruplicarsi dei piani di rateazione da gestire nel corso di un anno, nonché, in molti casi, l’impossibilità di poter accedere ad una rateazione su base quinquennale (riservata ad avvisi di importo superiore ad Euro 5.000,00).
Ipotizzando infatti un’azienda che chiuda ogni trimestre con un’IVA a debito non versata per Euro 4.500,00 (ovvero Euro 18.000,00 annui), mentre nel 2016 avrebbe potuto rateizzare l’importo omesso in 20 rate trimestrali di circa 1.000 Euro ciascuna, nel 2017 si troverà a dover rateizzare il medesimo importo con quattro distinti piani di rateazione da otto scadenze, con un impegno trimestrale di circa 2.500 Euro.
In un momento in cui l'accesso al credito è sempre più difficoltoso e la possibilità di rateizzare il versamento delle imposte rappresentava per molti una boccata d'ossigeno, l'emissione di avvisi bonari con cadenza trimestrale potrà essere il colpo di grazia per molte piccole imprese che, arrancando con fatica sul mercato, producono comunque PIL ed occupazione.
Tutto ciò premesso, il SiC sta doverosamente valutando le più opportune azioni di contrasto a questa deriva tecnologica che, lungi dal recuperare gettito tributario, espone i Contribuenti ed i Commercialisti italiani a costosi adeguamenti strutturali, tempi di ottemperanza ingiustificati e sanzioni certe.
Per Sindacato italiano Commercialisti
Marco Marinelli
Renato Ranieri
Donatello Sciubba